BROSSURA
Dalla premessa dell'autore:
«Un’epoca di forti contrasti porta con sé il continuo affastellarsi di sollecitazioni: sacro (forse sarebbe meglio dire religioso) e profano si confondono tra le scorie del calvinismo. Nessuna cultura pare totalmente esente dalle malattie tipiche del forte bisogno di affermare se stessi. Si contrappongono, in maniera particolarmente significativa, una “spiritualità” con profonde lacerazioni e un culto perplesso della personalità. L’interprete di quel mondo che si suppone reale è un uomo profondamente disorientato (e forse ne è tanto più interprete per quanto più sia disorientato) nelle more di certa religiosità laicista. Lo svuotamento di una civiltà non è progresso ma regresso verso stati illusi e fragili, estroflessi. Quanto accade oggi alle porte dell’Occidente è la prova della incapacità di vivere e della smania di cercare “fuori” di sé quanto va invece trovato dove già risiede, nella più autentica e sincera dignità dell’uomo. Inoltre: la mania di Dio, un parossistico avvicendarsi di sì e di no, è un continuo tendere che deve non realizzarsi per sua stessa natura, pena la sua esaustione. In questo alveo si radicano alcune male piante che vanno dall’integralismo, d’ogni tipo, fino alla confusione tra mistica e “cultura”, molto spesso fornita di blasoni profani: la forma di perversione più sottile e perniciosa in assoluto. Eppure, la ricerca della felicità spesso si camuffa con la necessità di “soddisfazione”, e si finisce per cercare Dio al fine di appagare un ulteriore bisogno personale e non per un’autentica e costante ricerca di libertà, di Amore reale. Qui non può non risuonare con forza un distico silesiano: “Uomo, se cerchi Dio per la pace, non è ancor bene: Tu cerchi te, non lui! Figlio non sei ancora, ma servo.”. Così, prende corpo una “spiritualità” a corrente alternata, sostanzialmente incapace di superare i cavalli di Frisia del campare. In un unicum si impastano “sacro” e profano, e nessuno dei due pare capace del colpo d’ala definitivo. L’uomo, da sempre, traballa tra i due universi e in questa febbre si radica l’oblio, quella inconsapevolezza “utile” a vivere (se l’esistere sia davvero vivere), ritualizzata da un codazzo di epigoni, attori non tutti in mala fede, comunque sempre confusi. “Nient’altro ci vela Iddio - insegnava Al-Arabi ad-Darqawi - eccetto il fatto d’occuparci, non dell’esistenza in sé, ma dei nostri desideri. Se potessimo scordare la nostra esistenza, troveremmo Colui che è all’origine di ogni esistenza, e vedremmo in pari tempo che noi non siamo affatto. Come potete credere che l’uomo possa perdere la coscienza del mondo senza perdere quella dell’ego?" |